«Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli». Mt 10,32-33
1.
a.
Anche l’uomo più misero possiede un cellulare, non vi rinuncia.
Il cellulare è la nuova patria, il guscio di lumaca che si muove sempre con noi. La nostra nuova pelle.
Il cellulare ci mette in contatto, ma ci fa anche essere sempre esposti agli occhi degli altri. Siamo sempre in piazza.
Siamo individuabili e raggiungibili. In ogni momento. Anche quando il cellulare è spento.
La cosa strana è che un messaggio, una volta inviato può essere sempre ritrovato, non si cancella mai.
Una feroce implacabile memoria custodisce ogni cosa.
Non c’è nessun Lete, nessun fiume dell’oblio. Dannati a non poter dimenticare, cancellare.
Ciò significa essere sempre esaminati e giudicati. Il passato cammina con noi, ci insegue come la nostra ombra.
b.
Si dice spesso, nella presentazione di alcuni eventi, la Storia lo dirà. La storia presentata come giudice implacabile, inesorabile. Non fidarsi dell’immediato, ma di quello che viene setacciato nel tempo. Si attende nel tempo una valutazione più equa.
Ma questo accade sempre nel tempo.. che scorre, che non è possibile fermare né pilotare.
L’esperienza, anche solo di questi ultimi anni, mostra che accadono fenomeni imprevisti a più livelli. Quindi anche il giudizio storico lascia il tempo che trova. È sempre rivedibile.
Il tempo, la storia non sono i giudici ultimi delle scelte, delle azioni degli uomini. Il giudizio degli uomini è sempre relativo, condizionato. È sempre un giudizio di parte. Rivedibile, ritrattabile.
c.
Viene portato avanti un altro criterio di valutazione: quello della Scienza. Si è dediti totalmente alla scienza. Non conta il mio giudizio personale ma quello della comunità scientifica che valuta a mia teoria e la mia azione. Resta che anche tale valutazione è fatta all’interno del tempo e da uomini di passaggio anche loro. Teorie che sembravano inamovibili sono crollate totalmente. Tutto e sempre è rivedibile.
Per questo non si deve dare peso più di tanto al giudizio umano.
Certo, esiste e pesa. Pesa anche se poi si scoprirà che sono state valutate male le cose, per cui si dà il caso di un innocente condannato ingiustamente. Viene riconosciuto tale dopo anni, ma intanto la vita e la figura di questa persona ne escono distrutti.
Si pensi al caso Tortora.
Ciò preoccupa. E non poco.
2.
a.
Comunque stiano le cose, Gesù ci direbbe di non dare peso più di tanto al giudizio umano. Giudizio che rimane prigioniero del tempo, del limite. L’orizzonte umano, per quanto esteso, è sempre limitato, per più di un motivo.
Cristo rimanda al giudizio di Dio, giudizio veritiero e dunque definitivo. Determinante. Anche per l’oggi in cui ci si trova a vivere.
Perché il giudizio di Dio riguarda la profondità del cuore e la totalità della persona umana e del suo vissuto, all’interno di un orizzonte complessivo.
b.
In questo passo del vangelo, fino a non molti anni fa, la frase ‘temete piuttosto chi ha il potere di distruggere l’anima e il corpo’ veniva riferito a satana. Si trattava dunque di stare attenti dal maligno.
Ma gli esegeti hanno messo in chiaro che si tratta di Dio. Si tratta di avere il giusto e sacrosanto timore davanti a Dio. con lui non si può barare; davanti a lui è tutto scoperto.
Non è che Dio sia un guardone che scruta da uno spioncino. Il famoso ‘occhio’ di Dio che ossessionava Sartre.
Il fatto è che noi non possiamo ingannare Dio. non servono trucchi o espedienti. Occorre la nuda verità di noi.
L’uomo, che è riuscito ad entrare alle nozze senza indossare l’abito nuovo adeguato per la festa, viene fatto uscire dal padrone di casa. Puoi sfuggire la sorveglianza umana, ma non puoi ingannare il Signore della storia, della vita e della morte.
San Paolo dirà che a lui non interessa essere giudicato da un consesso umano.
Neppure giudica se stesso.
Sa che davanti a Dio saranno svelati i nostri cuori. E allora ci sarà il vero giudizio.
Sulle opere compiute.
c.
Nello stesso tempo sembra che il Signore ci voglia rassicurare perché il giudice sarà il Padre che ha premura verso le sue creature. Per cui si deve stare fiduciosi. Se neppure un capello ci viene toccato senza che Dio lo voglia, si può stare tranquilli.
Ma questo non elimina il dramma esistenziale. La certezza della presenza del Padre non assicura un’esistenza facile. Anzi potrebbe darsi come un di più di fatica, di patimento, di sofferenza.
Come il Padre chiedesse di dare prova di amore anche in situazioni umane molto critiche, come al limite delle possibilità dell’uomo.
Il che mostra che tutta la problematica, tutta l’esistenza umana si riassume nella testimonianza dell’amore verso Dio.
Come del resto ha fatto Cristo, che ha fatto anche della sua morte un atto di amore al Padre e agli uomini.
d.
Qui tocchiamo un punto critico, nevralgico del cristianesimo.
Perché Cristo si presenta come l’assoluto, come il riferimento ultimo di tutto e di tutti. Tutte le realtà si relazionano a lui. Lui è il centro, lui è insieme inizio e fine.
Per accade che chi lo ha incontrato, non può non testimoniare tale realtà di cose, unendosi alla testimonianza stessa del Cristo, seguendone destino e passaggi esistenziali.
Ora la testimonianza resa nel tempo storico e tra gli uomini suscita nel mondo inevitabilmente una reazione di rigetto. Non si accetta che nel transeunte sia presente il definitivo.
Il dramma è sempre questo: il mondo mondano, impegnato nella temporalità, nel flusso della storia non accetta che gli venga posto un limite esterno. Il mondo ha sempre la tensione a pensarsi come il tutto. E quindi recinta ogni realtà come ambito del proprio dominio, di sua competenza. Anche il potere se lo legittima da sé, senza ricorrere ad altro, ad altri.
Il mondo agisce in tal modo perché assolutizza la facoltà che caratterizza l’uomo: la ragione. Così facendo però, trasforma la ragione in raziocinio. Per cui è decisiva l’analisi raziocinante, logica tecnica. Ogni altra facoltà viene percepita come meno decisiva o come una invadenza in un mondo che non è il suo.
Si è tentato più volte, e lo si tenta ancora, di eliminare o almeno ignorare il dato religioso, il bisogno spirituale dell’uomo.
Viene avvertito come elemento di intralcio o comunque non indispensabile. Ognuno può coltivare il proprio orto religioso, la propria ricerca spirituale. Ma si tratta di una faccenda privata, intima, e tale deve rimanere.
Se esce da questo ambito, può venire osteggiata, impedita, perseguitata.
e.
Oggi assistiamo a un doppio fenomeno.
Si pensava di aver chiuso con la superstizione della religione, eppure ritorna prepotente il bisogno di credere, di esprimere la propria fede. Fame e sete di spiritualità.
Dall’altra, è in atto una vera persecuzione contro i credenti, specie se cristiani.
Il peso principale della testimonianza cristiana è stata appunto quella del Cristo. Adombrata dall’esperienza del profeta Geremia.
Anche il salmo recitato è pesante: il destino dell’inviato è massacrante, è un peso che lo schiaccia.
Comunque stiano le cose, alla fin fine la testimonianza è una questione di amore.
Poteva Francesco di Assisi reprimere il proprio amore per Cristo?!
È un’esperienza personale, certo; ma esplode. Erompe. Non può trattenerla.
E per amore fa tutto, spogliarsi degli abiti, ma anche accogliere le piaghe del crocifisso nel suo corpo.
Scena dal film “Francesco” di Liliana Cavani, 1989
È un’esperienza circoscritta. ma è sempre sorprendente che il Poverello di Assisi venga sentito come fratello da tutti, fratello universale.
Può venire contrastato ma non messo a tacere. Osteggiato, ma non ridotto al silenzio.
Vive una fiducia totale in Dio, di cui ama e ammira le creature tutte, sentendole fratelli e sorelle.
In sintesi possiamo dire: Cristo si presenta come colui grazie al quale si gioca e si risolve il destino ultimo dell’uomo.
Tanto che Gesù chiede di prendere posizione davanti a lui. Questa decisione decide il destino della persona.
Chi riconosce il Cristo verrà da lui riconosciuto davanti al Padre, che deve esprimere l’ultimo giudizio su ogni uomo.
Chiediamo al Signore di entrare in questa realtà. E di viverla. Con cuore semplice.
Che qualcosa dell’esperienza di san Francesco entri nella nostra vita.
Sentirsi amati e sentire tutti e tutto come fratelli e sorelle, anche sorella morte.
Poter dire: “Laudato sii mio Signore…per tutto e in tutto”.
Che diventi nostra anche la testimonianza forte e silenziosa di Maria.
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